Non volevo più essere una cosa viva.

Non lo volevo da quando da bambina avevo visto delle larve grasse e bianche che si contorcevano nella farina. Le cose vive sono brulicanti, sudano, pulsano, scivolano, piangono; le cose vive urlano e io non volevo essere una di loro. Desideravo essere liscia e perfetta – come uno dei pezzi di vetro levigato che trovavo sulla spiaggia o come il pavimento freddo su cui camminavo sempre scalza.

Ma tutto intorno a me era cosa viva, molle e piena di viscere.

Pensavo spesso ai nostri corpi, un’idea ossessiva e ripugnante. La carne mi fa orrore, il sangue mi disgusta, ma le ossa mi sono sempre sembrate meravigliosa pietra morta. Le cose vive strisciano sotto la pelle, le cose vive mordono, le cose vive sanguinano: la vita è oscena, è scura – la morte invece è bianca e pura, libera le ossa da questa tortura: una cosa morta non ha pelle che possa essere strappata e nemmeno carne che rischi di essere profanata, è solo denti e ossa.

Volevo essere cosa morta, io li amavo e volevo solo liberare le nostre ossa, ma non ho avuto abbastanza forza. La carne è una corazza dura e il coltello forse non era abbastanza affilato. Quando li tagliava faceva un rumore strano.

Urlavano, urlavano e urlavano.

di Simona Lazzaro

Foto di Ubex_Footsteps

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