Vele di luce bianca fendevano la penombra lungo il corridoio dell’infermeria. Le voci delle bambine che giocavano in giardino tintinnavano lontane, ovattate dai balconi accostati e dalle chiome profumate dei tigli. Suor Lucia, ripercorrendo quei metri per l’ennesima volta, cercava di goderne quanto più possibile il fresco e il silenzio.  Non le dispiaceva salire i quattro piani di scale fino a quel corridoio, nemmeno con la settima o ottavacesta piena di coperte lavate di fresco e pronte per essere riposte negli armadi fino all’inverno. Meglio che stare un’altra ora in refettorio, tra le pentole fumanti e i mastelli d’acqua calda. E poi, se potevano, le altre suore le lasciavano volentieri i lavori da sbrigare lassù: perché era giovane e aveva le gambe buone, dicevano; in realtà perché era l’unica che aveva un buon rapporto con Agnese. Agnese, che per la settima o ottava volta quel pomeriggio l’avrebbe assediata con le sue domande.

Agnese stava nella stanza dove tenevano gli armadi con la biancheria. Non divideva la camera con le altre bambine malate, quando ce n’erano. Stava chiusa tra quelle quattro mura da molto prima che Suor Lucia arrivasse in convento e non era dato sapere se e quanto a lungo ci sarebbe rimasta. Le altre suore non ne parlavano volentieri. Anzi, non ne parlavano affatto. Confidavano che prima o poi la questione si sarebbe, per così dire, risolta da sola.

Non appena Suor Lucia ebbe varcato la soglia, la piccola malata riprese a interrogarla.

«Quando avete deciso di farvi suora?», le chiese.

 «Ero un po’ più grande di te», rispose.

 «E come mai lo avete deciso?», la incalzò la bambina.

 «Non l’ho deciso. Il Signore mi ha chiamata».

 «Vi ha chiamata dalle nuvole?», insisté Agnese. Suor Lucia sorrise e reclinò il collo per guardarla. «Mi ha chiamata da dentro il cuore».

Agnese si sdraiò dritta sulla brandina e si portò le mani al petto. «Proprio qui?», chiese, tutta seriosa.

 Suor Lucia annuì. «Sì. Proprio lì».

Agnese rimase in attesa per qualche istante, come se si aspettasse di sentire qualcosa sotto le costole. Ma qualsiasi attesa era troppo lunga per la sua impazienza.

 «Siete contenta di essere una suora?», riprese.

 «Sì. Sono molto contenta», rispose paziente suor Lucia.

 «Allora voglio fare anch’io la suora come voi, da grande»

 Suor Lucia non disse nulla. Strinse le labbra tenendo gli occhi fissi sulla cesta.

 «Diventerò grande anch’io, vero?» le chiese Agnese, improvvisamente cupa.

 Suor Lucia indugiò per un istante, soppesando la coperta che teneva tra le mani. «Naturalmente», disse piano.

 Agnese la scrutò da sotto le palpebre livide.

«Le suore vanno tutte in paradiso, vero?», chiese a Suor Lucia con tono inquisitorio.

Suor Lucia si voltò, sorpresa. «Solo se sono state buone e se hanno confessato tutti i loro peccati», rispose. «Perché?»

 «Altrimenti vanno all’inferno?»

 «Immagino di sì. O in purgatorio. Ma perché vuoi saperlo?».

  Agnese si rabbuiò. «Voi non avete paura di andare all’inferno, raccontando bugie?»

 Suor Lucia inarcò le sopracciglia bionde. «Agnese! Che dici? Che bugie ti ho raccontato?»

 «Io non diventeròmai grande», sentenziò Agnese, grave e solenne.«E voi lo sapete».

 Suor Lucia sospirò. Stava per risponderle qualcosa, ma la bambina la interruppe. «Credete che io andrò all’inferno?»

«No che non andrai all’inferno».

 «Allora andrò in paradiso?». Agnese la braccava, tenace come un piccolo mastino.

 «Ma certo che andrai in paradiso, Agnese», disse apprensiva suor Lucia, e andò adaccoccolarsi ai piedi del letto, accanto a lei.

«E adesso dove sono?».

 Suor Lucia tacque. Non sapeva davvero come rispondere. «Adesso…», mormorò. «Adesso sei…in attesa».

«E che posto è in attesa?», chiese Agnese con la fronte aggrottata.

«È…è qui…è…», balbettò suor Lucia, alla ricerca di qualcosa di convincente. Si era posta lei stessa quella domanda, senza riuscire a darsi una spiegazione.«Èdove sono anch’io, no?», provò a tagliare corto. «In attesa. Siamo tutti di passaggio qui, in attesa di incontrare il Signore».

 Agnese fissò suor Lucia piena di sospetto. Sembrava che sotto la cascata di boccoli unticci stesse soppesando ogni respiro della sua interlocutrice. Non sembrava del tutto convinta dalla risposta che aveva ricevuto, ma prima che potesse preparare un nuovo affondo il suo visetto smunto fu attraversato da un’ombra diversa.

 «Credete che andrò presto in paradiso?», chiese. Il suo tono si era intristito.

 «Ci andrai quando sarà il momento», la rassicurò la suora.

 Agnese sistemò la testa sui guanciali. «Sono stanca di stare sempre qui», disse, fissando il soffitto. «Sono sempre da sola. Se andassi in paradiso almeno non sarei da sola». Serrò forte le labbra, come se stesse ricacciando indietro qualcosa. Poi piegò leggermente il capo in avanti, per guardare la suora negli occhi. «Ci sono altri bambini in paradiso?»

 «Sì», le rispose dolcemente suor Lucia, «ci sono tanti bambini».

 «E secondo voi giocano tutti insieme?»

 «Ma certo».

 «E stanno con la Madonna?»

 «Non lo so, Agnese. Ma penso che la Madonna voglia bene a tutti loro».

 «Vuole bene anche a me?»

 «Certo. La Madonna ti vuole molto bene. Sei figlia sua».

Suor Lucia sorrise. Aveva un sorriso buono e paziente. Aspettò un istante un’eventualenuova domanda della bambina, poi si rimise a sistemare le coperte negli armadi. Quando ebbe finito, raccolse il cesto e fece per uscire dalla stanza.

 «Suor Lucia?», la chiamò di nuovo Agnese.

 «Sì?»

 «Quando andrò in paradiso?»

 «Presto», le sussurrò suor Lucia.

  Agnese sospirò e allungò le gambe sotto il copriletto leggero. Prima di andarsene, suor Lucia lo vide sgonfiarsi e ridistendersi, teso e inamidato, sulla brandina.

di Chiara Franchi

Foto di Urbex_Footsteps

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